In corso di pubblicazione su Lavoro diritti Europa LDE n. 2/2025
In principio, sono recenti sentenze di accoglimento della nostra Corte costituzionale, che dichiarano l’illegittimità costituzionale – in relazione all’articolo 117, primo comma, della costituzione (come novellato dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione) – di norme dell’ordinamento italiano, perché in contrasto con norme - dotate di efficacia diretta – del diritto dell’Unione europea.
Risultano investite, infatti, da diffuse critiche della dottrina - per l’asserita incompatibilità con il rapporto tra i due ordinamenti (unionale, già comunitario, appunto, ed italiano) – in base, essenzialmente, al rilievo che le norme direttamente efficaci del diritto dell’Unione si applicano in luogo delle norme confliggenti degli ordinamenti interni dei paesi membri.
Ora il rilievo addotto – a sostegno della asserita incompatibilità – concorre, bensì, ad integrare l’assetto – condiviso dalla Corte di giustizia e dalla nostra Corte costituzionale (a far tempo dalla sentenza Granital 170/1984 della stessa Corte costituzionale) – del rapporto tra i due ordinamenti.
Ne trascura, tuttavia, il rilievo – che concorre ad integrarlo – secondo cui la norma unionale (già comunitaria) – benché dotata di efficacia diretta (ancor più, sia detto per inciso, se ne sia sprovvista) – non comporta, in nessun caso, la rimozione della norma confliggente dell’ordinamento interno degli stati membri e, con essa, la conformazione dello stesso ordinamento interno a quello dell’Unione, alla quale i paesi membri sono obbligati in dipendenza della loro appartenenza all’’Unione.
Né possono provvedere - alla conformazione prospettata, appunto – istituzioni dell’Unione – in particolare, le sentenze della Corte di giustizia – in quanto non interferiscono sugli ordinamenti interni degli stati membri
La reciproca autonomia dei due ordinamenti – nella configurazione che ne viene proposta dalla nostra Corte costituzionale – riserva, infatti, agli stati membri la conformazione – alla quale sono obbligati – del proprio ordinamento interno al diritto dell’Unione.
In tale prospettiva, l’iniziativa spontanea degli stati membri – nella stessa forma della propria norma confliggente con il diritto dell’Unione - si coniuga – per la realizzazione, appunto, della conformazione prospettata - con l’efficacia generale delle pronunce di accoglimento della nostra Corte costituzionale, a tale scopo agevolate dalla emersione del nuovo parametro costituzionale (articolo 117, primo comma, costituzione, nel testo novellato ora vigente, cit.), come integrato – quale fonte interposta, in forza del rinvio libero della stessa norma costituzionale (art.117, primo comma, cit.) - dalla norma del diritto unionale, con la quale contrasta – nel caso concreto – il diritto interno.
Agevole, a questo punto, la conclusione.
Lungi dal risultare incompatibile – con l’assetto condiviso del rapporto tra diritto unionale (già comunitario) e ordinamento italiano – la giurisprudenza costituzionale – investita da critiche della dottrina, per l’asserita incompatibilità con lo stesso assetto condiviso - ne costituisce, invece, coerente evoluzione, agevolata dalla emersione del parametro costituzionale prospettato.